Documenti





Lucrezia d'Alagno: storia di un grande amore.

Lucrezia era figlia di Nicola d'Alagno e Covella Toraldo. Il padre, amalfitano d'origine, era signore di Torre Annunziata - assegnatagli in burgensatico dalla regina Giovanna II e dove c'e una strada col suo nome - e possedeva in Torre del Greco un vasto "orto fruttato" con alcune case in località Largo della Corte confinante con il Vallone, attuale Via XX Settembre. Detta località corrispondeva, press'a poco, alla zona compresa fra le odierne strade Piscopia, Piazza Palomba, XX Settembre e Bufalo; è possibile che una delle case sia quella esistente in Via Umberto I, angolo Vicolo Pizza, e che in essa dimorasse Lucrezia. In seguito l'orto divenne proprietà della Casa Santa dell'Annunziata di Napoli che lo censurò e vi si fecero abitazioni; quella casa divenne proprietà di Francesco Balzano, storico torrese del 1600. Il ricordo di Lucrezia ci viene dalla denominazione attuale dei quattro vicoli a monte del Corso Umberto I: Orto della Contessa. Tale denominazione è antica e forse risale al tempo di Lucrezia. In quell'orto avvenne l'incontro fra Lucrezia e Alfonso. S'era nel 1448. Il cinquantaquattrenne Alfonso, magnanimo re d'Aragona, Napoli, Sicilia, Sardegna, Corsica ecc., era venuto a Torre del Greco e (o vide Lucrezia ad una finestra o, come ho accennato, costei gli andò incontro per avere la strenna che le ragazze solevano chiedere la vigilia di S. Giovanni Battista) se ne innamorò perdutamente. Lucrezia poteva avere diciotto anni. Alfonso, per starle sempre vicino e corteggiarla, si fece costruire una stanza nell'orto; la notte si ritirava nel castello - attuale palazzo municipale, da lui fatto restaurare, non costruire come dice qualche storico - perché era meglio custodito. La Fontana - fatta costruire dal re - era luogo di frequenti passeggiate degli innamorati che vi si recavano dal castello. Nella stanza dell'orto e nel castello furono ricevute molte ambascerie, ed alcune importanti, e promulgate parecchie prammatiche datate: Torre Ottava. Alfonso non si divise mai più da Lucrezia. Con essa, però, non dimorò sempre a Torre del Greco, ma, pure a Pozzuoli, a Caiazzo e a Napoli, ove fece effettuare in onore di lei fastose giostre e sontuosi conviti a Castelnuovo e nel Castel dell'Ovo. Anche nel castello di Torre del Greco furono date splendide feste. Il re fu tanto munifico verso l'amata che essa in pochi anni acquistò fra l'altro, S. Marzano, Caiazzo, Somma Vesuviana; e prima di morire le dono il castello e l'isola d'Ischia. La munificenza del re si estese ai familiari che ottennero uffici, privilegi, feudi, titoli no biliari. Lucrezia fu attaccata al danaro e ci tenne allo sfarzo, ma la sua idea fissa - ispiratrice della sua condotta - fu quella di divenire la moglie di Alfonso e legalmente regina. Tanta ambizione degna di tal donna era ostacolata dal matrimonio del re con Maria di Castiglia, vivente in Ispagna e separata dal marito da decenni. Attesa e sperata inutilmente la morte di Maria, gli innamorati confidarono nell'aiuto del papa Callisto III al quale decisero di chiedere l'annullamento del matrimonio per sterilità della regina: don Ferrante, erede e successore di Alfonso nel regno di Napoli, era figlio naturale. Nel settembre od ottobre 1457, Lucrezia parti da Torre del Greco per Roma, come una regina. Il corteo di dame e gentiluomini comprendeva cinquecento cavalli. E come regina fu ricevuta, accolta e trattata dal Papa, dalla corte pontificia e dal popolo. Grandi onori, sfarzose feste, solenni ricevimenti. Ma di bolla per l'annullamento del matrimonio il papa non ne volle sapere. Alfonso Borgia, una volta segretario del re, era ormai Callisto III, pontefice massimo, e più della riconoscenza per l'antico padrone benefattore e della benevolenza di Lucrezia, si preoccupo - da quel buon canonista che era, nonostante la fama di eccessivo nepotismo - del diritto e della coscienza, e ebbe paura di andare, com'egli stesso disse, all'inferno insieme con Lucrezia. E Lucrezia non fu regina. Tornata a Napoli, fu accolta con tripudio. Ma le feste non distrassero gli innamorati dall'amarezza e dal dispetto per il ricusato favore. L'amore e la fortuna di Lucrezia durarono pochi mesi ancora. Il 27 giugno 1458 il re mori nel Castel dell'Ovo. Finì anche la pace del regno: Ferrante I non fu riconosciuto re dal papa e fu pure scomunicato; intrighi, congiure e ribellioni dei baroni; guerre. Gli invidiosi nemici di Lucrezia, approfittando che lo stesso re Ferrante le era contrario e ne ambiva le ricchezze - nonostante che Lucrezia gli avesse dato molto danaro per tenerlo buono -, si sbizzarrirono nella più volgare diffamazione. Le ostilità dello sleale re si palesarono e divennero dannose fino a revocarle la contea di Caiazzo e Lucrezia si dovette ritirare nel suo castello di Somma - Ottaviano, o Venosa, come scrissero rispettivamente gli storici F. Balzano e S. Ammirato -. Poi, l'inimicizia divenne pericolosa e Lucrezia, dopo d'essere stata inutilmente assediata in quest'ultimo castello, fuggi in Puglia sotto la protezione di Giovanni d'Angiò e del principe di Taranto, in guerra con Ferrante. Questa fuga fu pur essa oggetto di malignità e s'insinuo che Lucrezia fosse amante del capitano di ventura Jacopo Piccinino. Dalla Puglia fu costretta a trasferirsi in Dalmazia; di qui passo a Ravenna e poi a Roma, dove si diede da fare per tornare a Napoli, e dove mori il 23 settembre 1479 ancora giovane e bella, quasi povera e dimenticata. Pare che sia stata seppellita nella Chiesa di S. Maria sopra Minerva. Il nostro F. Balzano scrisse che Lucrezia non vecchia in Dalmazia, conformemente al Pontano.
E. De Gaetano ("La Torre" - 6 luglio 1956)